DON CARLO IN SCENA A TORINO

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Don Carlo

opera in quattro atti su libretto di Joseph Méry e Camille Du Locle

dal poema “Don Carlos” di Friedrich Shiller

Musica di Giuseppe Verdi

in scena al Teatro Regio di Torino da Giovedì 11 a Martedì 23 Aprile 2013

Siamo in Spagna intorno al 1560; il grande imperatore Carlo V è morto da tempo, nel 1558.

 

 

Atto 1

L’opera inizia nel buio avanzo della notte nel chiostro del convento di San Giusto; in una cappella un frate è in preghiera per l’ anima di Carlo V.

Con solennità noi con lui chiediamo a Dio che perdoni l’immenso orgoglio dell’Imperatore; solo cupe voci di frati per l’uomo che governò il più vasto impero, non solo europeo, del tempo.

Asserragliati attorno al maestro del coro che ripete con minimo anticipo i gesti del direttore d’orchestra ci pigiamo l’un contro l’altro, infilati in ogni scampolo di spazio tra comparse che entrano in scena, l’enorme statua grigia e lunghi rialzi per gli scalini di scene successive ammassati di fianco al palco.

Siamo già vestiti di panno e calzamaglia neri in attesa di aggiunger corazza, mantello e guanti pesanti di ferro per la scena successiva e il calore ci è già compagno sulla pelle.

Sul palco, l’ anima distrutta, Don Carlo canta la sua tragedia: è innamorato di Elisabetta di Valois che in un primo momento gli era stata destinata in moglie ,ma che poi, per suggellare la pace con la Francia, ha dovuto sposare Filippo, suo padre, e ora è diventata la sua Regina e matrigna.

Svela la sua disperazione al suo più intimo amico Rodrigo, marchese di Posa, che gli consiglia di partire per le Fiandre, dove i molti seguaci della Riforma soffrono l’ oppressione di suo padre che non tollera altra fede nell’Impero al di fuori del Cattolicesimo.

Intanto, nei giardini vicini al chiostro, le dame attendono l’arrivo della Regina, ogni giorno più triste; Don Carlo, in segreto, le rivela finalmente tutto il suo immenso amore e, prima che giunga il re, fugge disperato.

Da un angolo nascosto riesco a vedere a mala pena le mie colleghe mentre accompagnano Elisabetta, incastonate nei lunghi e ricchi abiti dell’epoca, quasi discese dai quadri che Filippo II, appassionato d’arte pittorica, collezionava in giro per l’Europa.

Viste da qui colonne e portali tra nero e sfumature di grigio appaiono ancor più enormi e monumentali, evocazioni della potenza spagnola del ‘500; il re Filippo II difensore della cattolicità contro eretici e riformati, pronto ad uccidere corpi a milioni per salvar anime e mantenere in purezza l’ortodossia cattolica.

 

Atto II

E’ notte nel giardino della reggia dove Carlo, attirato da un invito che crede scritto da Elisabetta, attende la Regina per un incontro amoroso; si presenta una dama velata alla quale egli dichiara ancora tutto il proprio amore.

In realtà sotto quel travestimento si cela la principessa Eboli, innamorata perdutamente di Carlo, che appena capisce la situazione, sentendosi tradita da colui che ama,minaccia di vendicarsi svelando tutto al Re.

Il coro da tempo è pronto in attesa per l’ incoronazione di Filippo II; siamo nella penombra, premuti davanti al grande altare che entrerà alla fine della cerimonia. Con le spade e queste corazze rigide che impediscono alcuni movimenti delle braccia l’impaccio è generale; impossibile non colpire stinchi o gambe dei colleghi, i guanti in scaglie di vero ferro sono pesanti e difficili da manovrare. Le colleghe sono già schierate alla base dell’altare e sembrano sculture di marmo vestite di pietre preziose. Entriamo suddivisi in gruppi, un leggero inchino al gruppo corrispettivo sull’altro lato, circondati da portatori di bandiere e vescovi in abbondanza siamo pronti a cantare la nostra gioia a Filippo II: scena di luce e colori accesi, i segni della maestà del monarca designato dal cielo a regnare anche sui popoli semi ignoti delle colonie americane.

Proprio quando un solenne vescovo sta per porre la corona sulla testa del basso (Filippo) al culmine della tensione musicale, Don Carlo irrompe accompagnato dai delegati fiamminghi che vengono per rivolgere al Re una supplica di pace per la loro terra. Ovviamente lo scompiglio tra noi nobili è generale e diventa frenetico quando Carlo, chiedendo d’esser nominato governatore delle Fiandre e ricevuto un rifiuto dal padre, sguaina la spada contro Filippo. Siamo come attoniti dalla circostanza e nessuno di noi osa disarmare il principe di Spagna; solo Rodrigo ferma l’ amico e lo disarma. Ristabilito l’ordine la cerimonia grandiosa prosegue: tra incensi e comparse sotto manti neri evocatori della morte entra qual enorme altare con baldacchino che ci stringeva lo spazio all’ingresso.”Gloria al ciel!” le ultime parole cantate, braccio destro levato al tabernacolo scomparso nell’incenso, luce bianca dal riflettore direttamente in faccia e il piacere d’esserci sentendo gli applausi dalla platea invisibile.

Atto III

E’ quasi l’alba e nelle sale scure del suo palazzo Filippo II non dorme, roso da pensieri cupi; è la persona più potente al mondo, ma non ha l’amore del figlio e della moglie. Altro colore nero s’aggiunge alla scena: entra il Grande Inquisitore, monaco cieco e fanatico il cui potere sugli animi è forse anche superiore a quello del Re di Spagna. Nella musica e sul palco un duello di tremenda grandezza: per far grazia della vita a Don Carlo, imprigionato dopo la rivolta durante l’incoronazione, l’Inquisitore chieda la morte di Rodrigo, che Filippo stima e ammira.

Entra improvvisamente la Regina cercando un cofanetto di gioielli che il Re aveva già ritrovato; il Re, mostrandole un medaglione con il ritratto di Carlo, l’ accusa d’adulterio.

Elisabetta sviene, soccorsa dalla corte; quando rinviene, la principessa Eboli, pentita, le confida d’averla denunciata a Filippo per gelosia.

Don Carlo è imprigionato nelle segrete e, durante una visita, Rodrigo lo rassicura: i documenti segreti sulla rivolta fiamminga sono stati ritrovati in suo possesso, quindi il figlio del Re verrà scarcerato.

Questo gesto gli costerà la vita: dopo qualche minuto un sicario dell’Inquisizione gli spara alla schiena e Rodrigo, prima di morire, dice all’amico che la Regina lo attende per un ultimo incontro a San Giusto; poi muore tra le braccia dell’amico.

Attendiamo il segnale per scendere nelle prigioni: dobbiamo occuparle con la furia della follia di popolo, minacciamo di morte chiunque voglia fermarci. Le comparse ci puntano contro le lance, alcuni colleghi vestiti da nobili accorrono per sedar la rivolta, tra le sbarre di legno dipinto vedo rettangoli di visi e cappelli piumati, scorgo i piedi di Rodrigo morto e un profondo buio davanti, come se nulla esistesse oltre il basso che ordina di aprirci i cancelli. Da sopra le nostre teste sentiamo la voce dell’ Inquisitore che impone il rispetto del Re e di Dio: cadiamo in ginocchio e la rivolta termina immediatamente, sedata dal terrore evocato dalla voce del frate cieco. Il ponte su cui siamo sprofonda di qualche metro e, immobili, aspettiamo il segnale di un macchinista che ci apre il cancello dell’ uscita: un piano sotto al palco, in fila, usciamo dalla prigione di Filippo II.

Atto 4

Elisabetta sta pregando sulla tomba di CarloV nel chiostro del monastero di San Giusto e Don Carlo la raggiunge per un ultimo addio; la morte dell’ amico Rodrigo gli da la forza per lasciarla e correre in Fiandra per difendere quel popolo.

Ma l’Inquisitore e Filippo arrivano e li sorprendono: Carlo sguaina la spada per difender la Regina e indietreggia verso la tomba: il cancello si spalanca e appare il fantasma del Re defunto che trascina con se il principe infelice mentre tutti cadono in ginocchio.

 

“Fine spettacolo 23 e 26!”proclama dall’altoparlante il direttore di scena; nel grande spogliatoio coro uomini c’è silenzio, gli ultimi costumi appesi dalle sarte ancora oscillano accanto agli armadietti con i nostri nomi, sedie alla rinfusa, asciugamani appesi alle spalliere, le poltrone del trucco deserte, tubi al neon accesi. Così immobilità e silenzio in teatro, dopo l’ applauso finale e i ringraziamenti al pubblico, dopo ogni serata d’ordinaria fantasia.

 

Immagine: Teatro Regio- Torino

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