QUANTA STRADA DA ELVIS AD OGGI

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Se si parla di cultura giovanile non si sa da dove iniziare a dirigere il pensiero. Quanti stili di vita, quanti modi diversi di vestirsi, quanti generi musicali e quanti slang diversi.

Il fenomeno scoppiò verso gli anni  Cinquanta. La voce di Elvis Presley veniva incisa sul vinile a ritmo serrato e la signora Lennon regalava la prima chitarra a suo figlio. Improvvisamente i capelli si fecero più lunghi, i pantaloni più stretti e le gonne più corte. Iniziava un lento ma inesorabile mutamento delle convenzioni sociali che, con l’avvento della radio come bene di massa, divenne esponenziale.

Nacque dunque nelle decadi successive una fitta giungla urbana di tendenze. Ognuno, a differenza delle generazioni precedenti, aderiva ad una particolare corrente. Anche chi credeva di non far parte di questo sistema, sarebbe stato etichettato “come facente parte di un gruppo”, quantomeno per l’orientamento politico.

Siamo passati nell’arco di mezzo secolo dal non aver la TV a casa, al non doverci più alzare dalla poltrona per cambiare canale. Dall’uniforme, alle borchie, fino al Colmar. Abbiamo fatto il Sessantotto. Dai sassolini sulla finestra, agli sms. Vinili, audiocassette, compact-disck, mp3, I-pod. Dalla Lettera 22, alle stampanti in 3D. Dal “tirar l’aria” alla Cinquecento, al guidare un’auto ibrida. Questa dirompente innovazione tecnologica non potè che alimentare il fenomeno: le comunità non si limitavano più alle realtà locali, era come se un pizzico d’Inghilterra o di America ci avesse raggiunto fin dentro casa, facendoci diventare una comunità globale.

Sorge spontaneo chiedersi come sarà il prossimo futuro, cos’altro sarà in grado di modificare questo fenomeno d’espansione della cultura giovanile. Forse la lingua? Parleremo tutti inglese? Chissà, vedremo.

Quel che è sicuro è che quando sarò vecchio, i vecchi saranno pieni di tatuaggi…

 

 

Scritto da Luca Scalfaro (19 anni), per la palestra di giornalismo di 5W

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