LA VITA POSSIBILE

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Non è facile la vita di Anna (e se per questo nemmeno bella) ma se non altro è “La vita possibile”, almeno da quando ha lasciato Roma dove suo marito la malmenava con regolarità.

Inizia così l’ultimo film di Ivano De Matteo, con la protagonista (interpretata da Margherita Buy) che decide, dopo l’ennesimo pestaggio subito dal marito,  di fuggire da Roma per rifugiarsi, con il figlio Valerio, a casa di un’amica che vive a Torino (l’amica in questione è Valeria Golino).

Ma rifarsi una vita in un’altra città non è facile e l’unico lavoro che Anna riesce a trovare è in un’impresa di pulizie. A pagare il prezzo più alto, fra tutti però, è il figlio Valerio (l’esordiente Andrea Pittorino), un ragazzino improvvisamente sradicato dalle sue abitudini e dai suoi giri di amici che, ovviamente, fatica ad ambientarsi in una situazione del tutto nuova, dove non conosce nessuno e dove, essendo ospite di un’amica della madre, non può neanche avere una camera sua dove potersi rifugiare.

E’ un film dunque, questo, che offre uno spunto di riflessione su un aspetto sempre molto trascurato e di cui non si parla. Riguarda quell’aspetto  della violenza nei confronti delle donne, che si riverbera poi, inevitabilmente, sui figli.  Sono loro che, in queste situazioni, finiscono per essere i più traumatizzati o quanto meno i più penalizzati, come appunto nel caso di Valerio.

La scena iniziale del film la dice lunga. Valerio rientra a casa, dopo la scuola e, già mentre sta per aprire la porta, sente litigare i suoi genitori. Quando entra nell’appartamento poi gli tocca assistere ad una delle manifestazioni di violenza del padre.

Il ragazzo ne rimane talmente sconvolto da farsi la pipì nei pantaloni.

Per questo motivo Anna decide di fuggire da Roma e di sottrarsi alla violenza del marito, anche e soprattutto per suo figlio.

Ma Valerio è lacerato, come lo sono spesso i figli in questi casi, tra l’affetto nei confronti del padre e la paura che ha di lui.

Nel suo “esilio torinese”, il ragazzo sente moltissimo la mancanza del padre, pur rendendosi conto che tornare indietro, sarebbe un errore.

E oltretutto gli tocca subire i paradossi delle leggi italiane. Non può, ad esempio, neanche  usufruire dell’assistenza psicologica gratuita di cui avrebbe diritto (oltre che bisogno) perché per legge un minorenne deve avere l’autorizzazione e quindi la firma congiunta sia della madre che del padre (anche se quest’ultimo è un violento da cui è necessario fuggire).

Oltre a doversi sobbarcare da solo i propri dilemmi interiori, Valerio fatica ad ambientarsi e a trovare degli amici.

L’unica cosa che riesce ad avere, nella sua nuova destabilizzante situazione, è una bici con cui andare in giro per la città e per il quartiere che, per fortuna (essendo Porta Palazzo) ha mantenuto ancora quell’aria quasi da borgata di paese con piccoli caffè e osterie alla mano. Le uniche due persone con cui inizialmente riesce ad instaurare un rapporto sono dunque una giovane donna dei Paesi dell’Est che si prostituisce e il gestore di una trattoria/caffetteria del quartiere che alcuni credono matto e che ha un passato oscuro.

L’ambientazione poi fa la sua parte. E’ una Torino brumosa e sempre in bilico tra atmosfere autunnal/invernali, quella ritratta nel film, ma tutt’altro che grigia. Ripresa in alcuni dei suoi luoghi più belli come il lungo Po, i viali alberati del Valentino e i dintorni dei Giardini Reali, sembra quasi una piccola Parigi.

I dialoghi, molto ben calibrati, la scelta delle musiche e una splendida fotografia lo rendono, nell’insieme, un film poetico e delicato, che tocca argomenti e problemi anche scottanti, mostrandone però i risvolti quotidiani, cadenzati dai ritmi lavorativi, dai pasti, e da tutte le piccole incombenze che si devono affrontare ogni giorno, aspettando che i problemi si stemperino, che il dolore diventi un lontano ricordo, che nuove conoscenze possano diventare future amicizie e nuove condizioni di vita si trasformino pian piano in abitudini. E proprio in queste piccole cose della vita quotidiana (che si trasformano pian piano, col tempo) risiede, a mio avviso, il messaggio di speranza di questo film perché in fondo, per saper apprezzare e gustare appieno le gioie della vita (anche quelle minuscole e quotidiane) bisogna comunque aver attraversato la sofferenza.

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