NO ENGLISH? NO JOB

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No English please, we’re Italians.  Credo non occorra tradurre. Non entro nella polemica inglese sì inglese no, la vexata quaestio dei corsi universitari obbligatoriamente in quella lingua, recentemente bocciati dalla Consulta. Mi limito a osservare alcuni dati del nostro turismo, relativi al 2016: a) mare al top con +16% di presenze, bene alberghi e strutture extralberghiere con +2% di arrivi e presenze. In crescita del 3,2% il turismo interno. I borghi e i musei italiani segnano un +12,5% di visitatori (fonte: Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, 15 sett. 2017); b) incoming (inglese; per la traduzione v. dopo la parola ‘milioni di’): con 50,7 milioni di arrivi internazionali, l’Italia si conferma la quinta destinazione turistica mondiale; c) la spesa turistica di costoro vale 36,4 miliardi di euro; d) il turismo rappresenta il 4,2% del Prodotto interno lordo italiano, che sale al 10,3% se si aggiunge l’indotto; e) nel turismo gli occupati sono circa 2,7 milioni, con un’incidenza del 11,6% sull’intera occupazione nazionale.

Poi, su un periodico “serio”, a grande tiratura, leggo che gli hotel e i ristoranti di un Paese – il nostro – che vive, come dimostrato, di turismo, faticano a trovare personale perché «troppi giovani non sanno le lingue, in particolare l’inglese» (in Veneto, “krukkenland” da sempre, il tedesco!). Curioso: vogliamo operare sul mercato turistico internazionale ma non ci preoccupiamo di padroneggiare gli strumenti per ricavarne i vantaggi.

Oggi il gap riguarda lo standard English (aridàje con l’inglese!). Domani potrebbe metterci fuori dal mercato turistico e del lavoro (segnali in questo senso già ci sono) la non-conoscenza del cinese. Urge correre ai ripari. Cominciando dalla formazione, of course.

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