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RAFFAELLA INTERVISTA ELENA BEATRICE

Quando viaggia si porta sempre dietro un taccuino, in cui disegnare, schizzare, raccontare. Piccoli Cahiers de voyages, un po’ diari un po’ Sketchbook.

Nella vita, ora, scrive e dirige film con Daniele Lince, suo marito. Nel suo sito si descrive così “Mi chiamo Elena Beatrice e sono illustratrice e filmmaker. Credo che le storie possano contribuire a cambiare il mondo: la mia missione è trovare il modo giusto per raccontarle”.

Questa la sua vita di adesso.

Elena, tante vite, una dopo l’altra, per  costruire quella  fatta su misura per te. Come ci sei arrivata?

Vite diverse. Un lungo periodo dedicato allo studio della medicina, una scelta volontaria e felice. Non avevo mai pensato di fare medicina, poi l’ultimo anno di liceo, indecisa fra la  grafica, la scenografia e la medicina, mi sono spinta verso la medicina. Ho pensato che se non avessi intrapreso in quel momento quegli studi non l’avrei fatto mai più. Ora come ora, guardando il lavoro realizzato come illustratrice e filmmaker negli ultimi tre anni, mi chiedo dove sarei se avessi saltato il percorso di medicina.  È anche vero che non sarei quella che sono se non avessi studiato medicina e soprattutto lavorato come medico.

Ho avuto da sempre tanti interessi e la curiosità è stata il filo rosso che ha legato tutta la mia via. Sono sempre stata una persona che ora verrebbe definita “multi potenziale”. Alla ricerca di qualche cosa di nuovo, attenta a ciò che accade attorno a sè. Desiderosa di vedere, scoprire, esplorare. Di apprendere nuove cose. Il disegno mi ha accompagnato sempre.

Cosa è per te il disegno.

È  sempre stato un modo per comunicare:  una valvola di sfogo, un canale per esprimere le mie emozioni. Questo vale per tutto ciò che faccio ed è uno dei motivi per cui non stavo bene come medico. Certo lavorare con i pazienti è interessante, arricchente. Avere un passato da medico ha plasmato il mio modo di vedere il mondo, la sinergia che si instaura con le persone. Ma l’espressione artistica, qualunque essa sia, ha una forza infinita per me. Pratico  yoga tutte le mattine e anche quello mi ha cambiato la vita. Il disegno mi dà gioia. Tutto ciò che passa dal corpo è importantissimo per me.

E il viaggio…

Ho sempre viaggiato tanto, fin da bambina, e mi ha arricchito. Ho sempre viaggiato anche con i libri e con la mente. Crescendo il viaggio è diventato una fuga. Nei momenti in cui non ero soddisfatta di come andava la vita  viaggiavo sola e durante questi viaggi stavo bene: libera di essere me stessa, cosa che forse non succedeva nella quotidianità. Tornavo arricchita e diversa,  ma subito avevo il desiderio di un nuovo viaggio.

In un momento di forte cristi  ho deciso di fare il Cammino di Santiago e lì qualcosa è cambiato: probabilmente pensare camminando mi ha cambiata! Ho realizzato cosa volevo, cosa mi faceva stare bene e chi ero. Dopo ho sbagliato ancora parecchio,  ma ho iniziato a essere più autentica, soprattutto con me stessa.

Adesso il viaggio è un bel momento, è scoperta, esplorazione, spesso con Daniele cerchiamo di avere un focus e di renderlo “un’esperienza”. Non ho più molta voglia di viaggiare sola, amo ritagliarmi momenti di solitudine, per disegnare e creare carnet di viaggio, ma mi piace condividere.

Dal Cammino si Santiago a una strada diversa, che ti ha portato a lasciare la medicina. Immagino non sia stato semplice.

No, per nulla. È stato un percorso faticoso, difficile. Pensare di aver dedicato dieci anni della vita alla medicina e capire che fare il medico non era ciò che desideravo non è stato banale. Mi è spiaciuto per  il tempo “perso”, sempre sia giusto definirlo così. Ora che mi racconto capisco che il medico non era il mio. Nessuno mi ha forzato a fare medicina. Sono cresciuta in una famiglia non artistica, che non mi ha mai imposto nulla, ma da cui ho forse assorbito l’idea che il disegno o la regia non potessero essere un mestiere. Ho sempre amato il disegno ma non sono mai stata spinta a lavorare in questo settore. Negli anni ho continuato a disegnare e a dedicarmi alla grafica. Sono sempre stata appassionata di video, di cinema, di arti visive.  Eppure non riuscivo a capire e pensare che quella potesse diventare la mia professione.

Poi, l’incontro con Daniele Lince, che è diventato mio marito  e la mia vita è cambiata. Daniele faceva il regista e lavorava in un cinema. Nel 2016 è iniziata la nostra storia, e io poco per volta ho iniziato a lavorare con lui, a rafforzare la mia attività di illustratrice e a dedicarmi, assieme a lui, alla regia. Daniele mi ha salvato la vita.

Quando hai capito che la scelta fatta era quella giusta.

Non c’è stato un momento, ce ne sono stati tanti. Da quando vivo questa vita – che sento come “la mia vita” – ci sono momenti in cui provo “la gioia da dentro” e mi sembra incredibile essere riuscita a costruirmi una vita così, mi sento talmente grata che a parole faccio fatica a dirlo.  Sono momenti in cui un disegno funziona, un corto è bello, sono soddisfatta del risultato o un cliente lo è. Quando mi rendo conto che mi sveglio al mattino e potrò fare  yoga e poi disegnare o pensare a una storia o lavorare su un’idea o su un film, a volte non ci credo, sono troppo felice. Intendiamoci, non sempre è tutto facile, lavoro molto più di prima, con più  ansia e più stress da prestazione e da creazione. Però sono felice.

Come è lavorare con Daniele, tuo marito.

Abbiamo competenze diverse. Pur sullo stesso lavoro. Daniele ha sicuramente maggiori competenze tecniche, fa questo mestiere da molti più anni e da lui imparo ogni giorno qualche cosa.  La regia la facciamo assieme, e nell’ultimo lavoro abbiamo fatto anche il montaggio assieme. Per me è stato molto bello, mi ha fatto capire a tutto tondo come funziona il prodotto film.  Sui lavori ci confrontiamo molto e ci prepariamo per gli incontri di lavoro, per capire come è meglio muoversi. Avere un doppio punto di vista è arricchente e stimolante.

Io sono più empatica e più puntigliosa. Ho una migliore capacità di parlare con le persone, che siano i produttori, attori, tecnici. Essere medico mi dà una maggiore sicurezza. Non ho problemi o insicurezze a confrontarmi con gli altri.

Il vostro  futuro.

Non è facile, soprattutto perché non siamo a Roma, anche se a Torino e Milano le cose si stanno, lentamente muovendo. Il 2018 è stato un anno ricco. Abbiamo realizzato due corti, reVergination e Il ragazzo che mise di respirare, che sta ottenendo ottimi risultati. E due documentari.

E poi c’è la mia attività di disegnatrice. A cui cerco di dedicare qualche ora tutti i giorni. Quello è un progetto solo mio e talvolta conciliarlo con la regia non è facile.  Amo i Carnet di viaggio, so che dovrei sfruttarli, arricchirli, trovare la loro strada.  Chissà, prima o poi unirò le mie passioni. Sto studiando un programma per fare animazioni. Magari in futuro realizzerò un disegno animato. Ci sono ancora tante cose da fare. Un passo alla volta, come nel Cammino di Santiago.

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