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BIG TECH: CONCENTRAZIONE DEL POTERE NELLE MANI DI POCHI

Ci sono notizie di cronaca che dovrebbero allarmarci. Tipo questa: attualmente, le prime cinque Big Tech assieme – Nvidia, Microsoft, Apple, Alphabet, Amazon – sono arrivate a superare il Pil dell’area euro. Che, secondo i dati ufficiali della Banca Mondiale, nel 2024 valeva 16.403 miliardi di dollari statunitensi. Di fatto, una concentrazione di un enorme potere nelle mani di pochi, non soltanto economico-finanziario; uno strapotere che comporta rischi concreti per la democrazia e la libertà individuale e collettiva.

Esageriamo? Sarah Wynn-Williams, avvocata già direttrice di Public Affairs (relazioni istituzionali) di Facebook, nel suo libro “Careless People” (2025) ci fornisce un esempio eloquente: il «progetto Alamo» con cui Facebook nel 2016 mise disponibili a Trump candidato alla presidenza Usa «i movimenti delle carte di credito, gli acquisti, i siti web visitati, l’auto guidata, la residenza» di 200 milioni di americani.

Altro esempio riportato dalla cronaca internazionale: il caso «Cambridge Analytica»; questa società britannica di consulenza politica, nel 2018 attraverso una app di quiz rastrellò senza il loro consenso i dati personali di oltre 87 milioni di utenti del social network Facebook. Lo scandalo – globale – ha contribuito a mettere in luce la totale mancanza di trasparenza e controllo sugli algoritmi e sui dati prelevati. In seguito a ciò Facebook (ora Meta) nel luglio 2019 è stata multata dalla Federal Trade Commission (USA) per cinque miliardi di dollari, e si è poi innescato un dibattito globale sulla regolamentazione delle Big Tech e sulla privacy on line.

I rischi

Il rischio maggiore legato a questa primazia è che poche aziende private detengano un potere esagerato sulla capacità di un sistema politico di funzionare in modo efficace nel prendere le proprie decisioni in settori chiave come l’informazione, l’economia, la comunicazione, e persino la politica.

Il sistema

I rischi concreti, per un governo gestito con criteri liberaldemocratici, nascono da situazioni quali:

Come difenderci

 La regolamentazione europea delle Big Tech si concentra su tre principali normative: il Digital Services Act (DSA), che mira a contrastare la disinformazione e i contenuti illegali; il Digital Markets Act (DMA), che stabilisce obblighi e divieti per le piattaforme dominanti (i cosiddetti “gatekeeper”); e l’AI Act, che regola i sistemi di intelligenza artificiale in base al livello di rischio. Queste leggi impongono obblighi di trasparenza, vietano pratiche come l’autopreferenza (settembre 2025: la Commissione europea ha inflitto a Google una multa record di 2,95 miliardi di euro con l’accusa di aver sfruttato la propria posizione dominante nel mercato della pubblicità digitale) e garantiscono l’interoperabilità dei servizi, con l’obiettivo di promuovere la concorrenza, la sicurezza degli utenti e la protezione dei dati personali e finanziari.

In Italia vigilano l’Agcom – Autorità garante della concorrenza e del mercato, che può sanzionare le Big Tech per abuso di posizione dominante e pratiche anticoncorrenziali, e il Garante per la protezione dei dati personali, che applica il regolamento Ue 2016/679 con le sue regole severe sull’uso dei dati personali.

Può sembrare paradossale, ma persino un atteggiamento individuale minimale può essere un piccolo riparo cui val la pena di ricorrere: ciascuno di noi può (ogni volta) valutare chi c’è dietro i servizi che ci vengono proposti on line e che usiamo disinvoltamente. Dovremmo modificare le nostre abitudini digitali (impegnativo, ma non impossibile) e adottare a nostra volta la wom strategy (Word-of-Mouth: il passa parola): la consapevolezza è… contagiosa.

Ovviamente poi, in quanto cittadini, possiamo partecipare a una battaglia collettiva: sostenere leggi e politici che favoriscano una Rete più equa. Se non provi, non riesci.

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