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AMEN

In un amen; nello spazio di un amen; più arcaica la forma giungere all’amen. Tutti modi di dire che significano concludere qualche cosa, agire molto in fretta. Modi che, altrettanto frettolosamente, stanno abbandonando il registro della lingua colta. Amen è parola della lingua aramaica, lingua che Gesù parlava in famiglia. Termine ebraico, compare nell’Antico Testamento e nella liturgia di quella religione.

Amen – grazie al suo rinvio alla divinità – al tempo era usato per ribadire come veritiera una affermazione, sia al momento della sua asserzione sia in assoluto, per il futuro. Nel rito cattolico amen conclude quasi tutte le preghiere; recuperata dalla liturgia cristiana, la parola assunse nel tempo il significato di «così sia», invocazione con cui officianti e fedeli chiudevano e chiudono ancora un rito liturgico, una preghiera.

Amen è entrato nella lingua italiana con Dante, che nella Divina Commedia se ne serve per indicare qualcosa di molto rapido: «un amen non saria potuto dirsi / tosto così com’ e’ fuoro spariti» (Inferno, XVI, 88-89). Oggi il sostantivo amen può voler dire “attimo, momento, fine, termine”. Si usa per chiudere in modo netto un discorso, una discussione (amen, e basta!); oppure come possibilità di rassegnazione (pace e amen!).

Però i tempi cambiano, e con loro anche la lingua. Usi e costumi lessicali si aggiornano, scompaiono, a volte cambiano significato. Francamente però non ricordiamo l’assurda trasformazione di una parola, dettata dal malinteso senso della imperante politically correctness, come è accaduto con l’interpretazione che di amen ci dà il pastore metodista Emanuel Cleaver, deputato democratico al Congresso degli Usa. Secondo quanto riferiscono i media, costui avrebbe concluso la sua preghiera recitata in apertura dei lavori del 117esimo Congresso con la formula «Amen and Awoman», come se la parola di cui parliamo fosse composta da A e men “uomini” e quindi, per par conditio, A e woman “donna”.

Parafrasando il mitico Carlo M. Cipolla di Allegro ma non troppo, ci rendiamo conto che pure l’ignoranza ha le sue leggi fondamentali.

Per non demoralizzarci, la buttiamo sul ridere. Così, per rimanere in tema di bischerate lessicali, ricordiamo un romanzo di qualche anno fa dove si narrava (dicono fosse vero) di un assessore emiliano il quale, misurandosi nel test d’inglese previsto per accedere alla sua funzione, avesse tradotto la semplice benaugurante frase “che Dio t’assista” con uno squillante «which god taxidriver”.  Gira sul web una proposta ai gestori di ristoranti e pizzerie: modifichino la intestazione della loro lista dei piatti nel politicamente corretto “Menu e Womanu”. Amen.

 

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