IL MIO LAVORO

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Cantare su un palcoscenico assieme ad altri colleghi è il mio mestiere da molti anni: faccio l’artista del coro del Teatro Regio di Torino.

Scrivo queste brevi note perché desidero far conoscere il mio/nostro lavoro e la vita del Teatro d’Opera narrandola da dietro le quinte, come “persona al corrente dei fatti” e testimone di una tradizione culturale che contribuì e continua a far grande l’Italia nel Mondo.

Il nostro mestiere consiste nel partecipare alla messa in scena di un’opera lirica, realizzandone la parte vocale destinata al coro e gestendo la scena secondo i movimenti richiesti dal regista.

La nostra attività è suddivisa in alcune fasi. Ogni giorno, in una grande sala e con la supervisione del maestro del coro, tutti insieme studiamo e memorizziamo le parti affidate a ciascuna “voce” ( bassi, tenori, contralti, soprani); il compito di ciascuno di noi è quello di fondere la propria vocalità nella sezione, in modo tale che nessun timbro troppo personale esca dall’amalgama del gruppo.

Ognuno di noi deve far proprii ritmi, respiri, testi, sonorità richieste dal maestro del coro.

Quando anche la memorizzazione dell’opera è completata avviene il primo contatto con il direttore d’orchestra che, durante una prova a lui dedicata, ci comunica la propria interpretazione dell’opera, i cambi di tempo e le sfumature d’espressione che desidera.

Anche la sua gestualità è un elemento importante ai fini dello spettacolo perché spesso, non udendo la musica dell’orchestra mentre eseguiamo i movimenti sul palco, l’unico punto di riferimento tra noi e ciò che l’orchestra suona è costituito dai movimenti delle braccia e delle mani del direttore.

Iniziano quindi le prove di regia sul palco: il regista ci spiega la propria lettura dell’opera, le motivazioni psicologiche dei personaggi e la tipologia di movimenti che desidera da noi.

Per alcuni giorni, interagendo con i protagonisti solisti dell’opera, montiamo le scene, poi gli atti, infine tutto lo spettacolo, accompagnati solo dal pianoforte perché l’orchestra sta studiando le proprie parti.

La data della Prima si avvicina e le prove sul palco continuano: ora si aggiunge l’orchestra e il direttore cerca di ottenere una perfetta simbiosi tra ciò che avviene sul palco e la musica suonata dall’orchestra nella fossa; movimenti, canto e ritmi da due mondi diversi uniti da un gesto, da un’intuizione, da una volontà, dall’autorevolezza di una sola persona responsabile dell’esito musicale e vocale dello spettacolo.

Dall’inizio delle prove di scena e durante il percorso di avvicinamento alla Prima il responsabile di palcoscenico indica orari e riposi, risolve problemi logistici ed organizzativi e segnala inizio e fine spettacolo.

Pochi istanti prima che l’opera inizi s’annuncia la discesa del direttore nella fossa dell’orchestra: “sala buia, il maestro scende!” e la fantasia, organizzata con pazienza e meticolosità, è nuovamente libera d’ invadere il Teatro.

Dopo la chiamata tutti sul palco, al di qua del sipario, pubblico in attesa al di là dello specchio, ancora una volta.

 

 

 

Assi di legno, polvere, proiettori sospesi, lampade ai lati….enormi, 

 

corde annodate, carrucole, macchinari giganti, colori e vernici…odori, andirivieni incessante, voci urlanti, gambe, schegge di mondo…colleghi dal mondo, 

 

adolescenza riesplode….

 

Liceo infinito. 

 

Anime giovani, strette in corpi già molto vissuti, logori, alcuni; 

 

orde di braccia, di scarpe…poi… l’Annuncio di rito;

 

ore o minuti più calmi…turbinanti litri di caffè…distributori automatici assaliti….Voce imperiosa richiama sul palco. 

 

Nei giorni a seguire calore crescente, tensione che sale…alla gola….irritazione, recriminazione, parole….. ripetizione…ripetizione.

 

La resa dei conti, quando ognuno punta su sè e anche sull’altro, come a spremere gocce, profumo da un fiore….concentrazione; 

 

quando lama bianca sotto il sipario, estuario di scintillii poi foce più ampia, violenta travolge il Mondo, luce oltre lo specchio,

 

il sottile piacere di esserci…di esser proprio lì, si mischia al sudore sulla schiena, centrato nella ricerca del proprio meglio su quelle tavole scricchiolanti, meteore di polveri tra raggi, 

 

ombre scolpite…tutti insieme, respiro.

 

Essere qui su questo palco madido di luci, indossare stoffe anticate, curate parrucche, pantaloni o divise, storici feltri sui fianchi, calzare scarpe…le meno dolenti, a volte vestire 

 

cappotti, coperte come di marmo, avvolto in bandiere, guerriero,

 

eunuco di corte, borghese di mode, baffi, basette posticce o calotte grondanti, odore di colla pungente, carnevale continuo di lazzi…. sorrido in segreto.

 

Per qualche secondo pensieri in apnea, mente e memoria,  porzioni di tempo, ricordo del testo, posizione studiata…. a volte ridicola, spiegata o sofferta, vissuta o patita nei 

 

giorni di prova, ricerca del luogo perfetto da cui inquadrare 

 

dinoccolate, esagitate, attorcigliate appendici sbattute o gentilmente contorte di colui che tutto guida, solo, sul podio, nella fossa, capo supremo di un luogo in cui Democrazia è 

 

bandita, inutile, anzi, dannosa.

 

Ora comincia…..

 

Noi, anagrafe sconfitta, bambini di ritorno.

 

Forse altri mondi, indefinitamente interpretabili, moltiplicabili, parte nascosta dello specchio costruita, altra, raccolta e messa in vena.

 

Ognuno in perenne conflitto poi tutti, insieme, non solo accanto ma con e per chi è di fianco, numero comune, frazione d’ intesa che plasma e trasforma ostinate nostre diversità.

 

Finalmente,

 

tutti insieme su queste tavole di legno, forti più del numero che siamo…. 

 

strano lavoro, quasi un gioco.

 

Stupore comincia al di là dello specchio.

 

“Sala buia….il maestro scende!”

 

Immagine: Vincenzo Vigo

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