LA BOHEME DIETRO LE QUINTE

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La BohèmeOpera lirica in quattro quadri – musica di Giacomo Puccini – libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica (Allegria, Amori e Tisi) – in scena al Teatro Regio di Torino da Sabato 19 Gennaio a Martedì 29 Gennaio 2013.

I Bohémiens erano artisti ribelli contro le convenzioni sociali ottocentesche, alla costante ricerca della totale libertà creativa. Scrittori, poeti, musicisti e attori vivevano spesso volontariamente tra le classi più emarginate della società in modo precario e girovago, sentendosi simili ai gitani, che, all’epoca, si pensava arrivassero dalla Bohemia.
“La Bohème” di Giacomo Puccini è il ritratto della vita spensierata che alcuni artisti bohémiens conducono nel Quartiere Latino nella Parigi del 1830: venne rappresentata per la prima volta al Teatro Regio di Torino nel 1896 con la direzione di Arturo Toscanini.

Oltre il sipario rosso fuoco, sento vociare del pubblico, annuncio di vite assiepate e sedute. Sotto la grande volta miriadi di punti luce sospesi mentre il brusio diminuisce, sparisce e la sala riprende ragione di vita.
Pochi secondi ancora: si comincia.                                                                                                                                                            Immaginate Parigi sul palco, oltre tetti e camini matasse di fumo, luce, passi leggeri di orme congelate.                                    Il freddo è pungente nella soffitta in cui s’ incontrano un pittore, un poeta, un musicista ed un filosofo.

E’ la vigilia del Natale, c’è aria di festa nelle vie, là dove il mondo scorre, sotto le ripide scale, ora già buie.
Assediati dal gelo e senza soldi, fantasia e spensieratezza li scaldano: Rodolfo, il poeta, comincia a bruciare alcuni fogli del poema che sta componendo.
Poi, quando rimane solo a completare l’ articolo per un giornale, entra in scena una giovane vicina di casa alla quale, salendo le scale, s’ è spenta la candela.
Mimì è il nome della ragazza.
Pallida, fievole Mimì, pochi passi e già stanchezza l’ assale, consumata.
Bella, delicata, irresistibile ammalata, tisi già la divora.
” Che gelida manina”: amore a prima vista, fiammata e passione, magia nell’ acuto finale del duetto: amor!
A pochi metri da Rodolfo e Mimì, studentesse di Fisica, neolaureate o simpatiche donne in pensione vestite da fioraie, studenti del Politecnico e del Conservatorio, ragazzi forzuti in abiti da poliziotto con baffi in evidenza, efficienti signori attempati vestiti da borghesi, frotte di bambini attenti, impertinenti, per dovere di copione, e noi del Coro, venditori di tappeti, merletti, prugne, sigari, libri antichi; tutti insieme premuti verso la luce della ribalta, in attesa di riempire gli occhi del pubblico con la gente di Parigi.
E’ la folla della Vigilia, strada di noi brulicante. Si vendono aranci, datteri, torte, torroni, giocattoli ai bambini, si bevono birra e caffè.
Lampioni accesi del Quartiere Latino e caffè “Momus” in primo piano, vetrine semitrasparenti, camerieri agitati, sedie e tavoli da posare sui segni stabiliti.
Caffè col nome del dio scacciato dall’ Olimpo per aver troppo deriso gli altri dei, figlio di Notte e Sonno, patria ideale per scrittori, poeti, artisti ribelli d’ ogni cielo.
Ho caldo dentro questa camicia con giacca allacciata, cuffia ruvida e pantaloni di lana grezza: la sciarpa già da tempo stringe e provoca prurito.
Dalle vetrine piatti e bicchieri s’ incrociano, rumori di stoviglie mentre muovo sul palco passi gelati chiedo fiori a credito alla fioraia.
I solisti seduti in proscenio, effervescente trambusto di camerieri, bambini a nuguli sciamano per via. I cinque amici scelgono: cervo arrosto, tacchino ed aragosta, vin del Reno e crème caramel: il conto lo pagherà, suo malgrado, il ricco e vecchio amante d’una eterna fidanzata di Marcello, il pittore. Il suo nome è Musetta, vistoso e luccicante contrario di Mimì.
L’ atto secondo trascina, ora si marcia al ritmo di fanfara militare: ecco la banda, di seguito soldati e fanti poi tutti noi a seguire, mani e gambe agitate in gran festa, usciamo. Fiocchi a milioni da grate sopra enormi proiettori, cade la neve sui panni d’ovatta, nebbia e gelo intorno alla piccola dogana.                                                                                                                             Noi fuori scena come voce di spazzini, le guardie mute, donne, ceste di cibi, bianco intorno, colore del nulla.                      Passi leggeri in orme congelate.

Il corpo di Mimì quasi divorato esce dal bianco.
nuova agonia, anche d’amore.
alla stagion dei fiori si lasceranno, non prima.
Come millenni di sofferenza nella storia, a milioni svuotati, anche ora mai troppo lontani.
Un piccolo corpo muto, tosse, sangue ovunque.
In quella gelida soffitta sui tetti di Parigi morire senza rumore, dentro più nulla.
Poche parole ancora, un brivido alla schiena, musica che riempie testa e polmoni.
Tenue sogno, raggomitolata tra mani amiche si spegne,
amata Mimì.

Immagine di repertorio, Teatro Regio di Torino

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