“DON GIOVANNI” DIETRO LE QUINTE

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Don Giovanni

dramma giocoso in due atti

libretto di Lorenzo Da Ponte

musica di Wolfgang Amadeus Mozart

in programma al Teatro Regio di Torino da Venerdì 15 a Domenica 24 Febbraio 2013

La prima rappresentazione del Don Giovanni va in scena a Praga nel 1787 con un successo travolgente; sul palco, appena sale il sipario, un duello con omicidio, travestimenti, scambi di persona, inseguimenti, allusioni sottili ed educate, una raffica di tentativi di seduzione, una esemplare punizione finale con rapida morale di chiusura.

Il protagonista, un giovane cavaliere estremamente licenzioso (così è descritto nel libretto dell’opera) passa attraverso tutta l’opera come spinto da una forza inarrestabile, senza curarsi della conseguenza delle proprie azioni.

Don Giovanni cerca di sedurre quante più donne gli sia possibile: questa è l’unica missione della sua vita e null’altro gli interessa.

 

La vicenda comincia con Leporello, servitore sottomesso all’egoismo totale di Don Giovanni, che si lamenta della propria condizione di vita e malvolentieri sta facendo da palo per proteggere l’ennesima avventura galante del padrone, penetrato di notte in un palazzo per sedurre una donna.

Non si sa cosa accada dentro quelle stanze: Don Giovanni appare improvvisamente in scena mentre fugge cercando di non farsi riconoscere e Donna Anna, che vorrebbe bloccarlo con forza, cerca, tra minacce e urla, di scoprirne l’identità.

Attirato dalle grida accorre anche il Commendatore, padre di Donna Anna, che sfida a duello il libertino; Don Giovanni lo trafigge con la spada e lo lascia morente, scappando con Leporello che, al contrario del padrone, coraggioso non è.

 

E’ l’alba, appena dopo l’omicidio, e Don Giovanni si scopre innamorato d’una dama che s’ avvicina nella penombra e che si lamenta per esser stata abbandonata dall’ amor suo.

“Mi pare sentir odor di femmina!” e si lancia sicuro alla preda. Ma la dama in questione è Donna Elvira, che proprio da Don Giovanni venne sedotta in passato; lei lo riconosce e vorrebbe trattenerlo ricordandogli le promesse che lui le fece ma il giovane nobile riesce a sfuggire alla collera di lei; la lascia sola con Leporello che snocciola la lista delle “sedotte e abbandonate” dal padrone in tutta Europa. Nel lunghissimo catalogo decine di contesse, baronesse, contadine, donne grasse, magre, giovani, giovanissime e vecchie, intanto “Pur che porti la gonnella voi sapete quel che fa”: facendo i conti “Son già milletré”!

 

Così, tra un tentativo di seduzione ed un altro, procedono vicende intrecciate tra comicità e tragedia a fior di pelle, l’amore che il giovane libertino cerca è argomento scabroso ma la musica di Mozart lo veste di leggerezza, con doppi sensi eleganti e sottili, come a far viver Don Giovanni in altri mondi, così concentrato a soddisfare le proprie amatoriali ambizioni.

 

Don Giovanni organizza addirittura una gran festa di matrimonio per cercar di sedurre una giovane sposa popolana appena incontrata e della quale si è invaghito, bella, semplice ma non molto ingenua; anche in questo caso, come negli altri visti in scena, il suo tentativo di seduzione è senza lo sperato successo. Solo nuove e più pericolose avventure attendono Don Giovanni e il suo servo: gente irata che li cerca per malmenarli, camuffamenti, inseguimenti, quasi scoperti, costretti a roccambolesche fughe nel buio.

E’  ancora notte; dopo peripezie e scambi di persona, minacce e collutazioni, scampati alla folla inviperita, Don Giovanni e Leporello si ritrovano in un cimitero, ombre altissime, angeli e spade di vendetta in mani alzate, minacciose alla morale corrotta del nostro mondo.

Tra altri monumenti la statua greve, enorme del Commendatore, ucciso nella prima scena; fumi dietro il muro del cimitero, un’atmosfera spettrale.

Improvvisamente una voce minacciosa e cupa risuona in quel posto silente; par che venga dalla statua del Commendatore e Leporello ne è atterrito mentre Don Giovanni se ne ride e come atto di sfida obbliga il servo tremante ad invitare la statua a cena in casa sua.

Ai lati del palco alcuni artisti dell’orchestra coi loro strumenti in mano son pronti ad entrare sul palco dentro abiti di scena neri, cappelli neri in testa, ultime chiacchiere tra colleghi, occhio teso al sipario in chiusura.

Appena la sala scompare al di la della tenda rossa l’azione diventa febbrile: attenzione alle corde da evitare, i tecnici cambiano fondale, precisi e veloci movimenti in silenzio mentre il pubblico aspetta. Una grande scatola nera dietro la scena illuminata a festa in pochi secondi, ultimi controlli alle luci, tutti piazzati attorno alla tavola lunga, candelabri e lampadine, il vino in calici e tovaglia pendente. La sala da pranzo di Don Giovanni è pronta, chi non serve esce di scena, i musicisti subito dentro disposti attorno alla tavola, il buio torna per qualche secondo sovrano.

Pronti a suonare sui gesti finti di Leporello, veri strumentisti in costume attorno al libertino, la scena finale comincia, le storie sul palco s’annodano e si risolvono, interviene qualcosa d’ancora più nuovo e solenne.

Comincia l’ultima cena di Don Giovanni e noi voci scure del coro in fila nella fossa d’orchestra, avvolti nel buio appena sotto il cappello di cemento che prolunga il palco verso la platea.

Tutto è diverso visto da qua sotto; solo i palchi in alto e strisce scure sul soffitto sopra leggii illuminati, per noi, abituati a vivere sul palco con luci negl’occhi e costumi, scarpe di scena e movimenti imparati alle prove.

Rifugiati qua sotto ci giunge l’ ombra di quel che accade in scena: tremolanti luci, Leporello che cerca di mangiarsi bocconi di cibi prelibati e Don Giovanni che glielo impedisce, la voce tremenda del Commendatore che viene a cenare da Don Giovanni, lo spavento incontenibile di Leporello, l’irriducibile spavalderia di Don Giovanni che rifiuta caparbiamente di pentirsi per i proprii peccati.

La voce cupa del Commendatore insiste: “Pentiti scellerato, cangia vita” ma Don Giovanni rifiuta sempre: “No che non mi pento”. Noi, voci di entità infernali, come da lontana profondità, in un crescere di vortici e minacce: “tutto a tue colpe è poco, vieni c’è un mal peggior” cantiamo e come incendio la forza della musica cresce, si propaga dall’ orchestra al palco, invade scena e cantanti, dilaga nel buio oltre il muretto di legno, abbraccia il pubblico.

“No” l’ ultima sillaba senza appello del giovane cavaliere licenzioso e il Commendatore lo trascina con sé nei vortici di fuoco, punizione esemplare, senza scampo, prodigiosa.

Ormai trascinato il “peccatore” all’inferno usciamo da sotto la scena, una stretta porta, scalini grigi di cemento, e sul palco, nella musica, nelle voci dei rimasti protagonisti l’atmosfera cambia, soddisfazione, allegria, uno squarcio di sereno dopo la tempesta. Ecco la morale finale, così cara a nobili conservatori e benpensanti d’ogni tempo: “questo è il fin di chi fa mal: e dei perfidi la morte alla vita è sempre ugual”.

 

IMMAGINE: Teatro Regio Torino

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