ANGOSCIA

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Con un tempismo inquietante, appena 3 mesi fa arrivavano nelle redazioni dei giornali  dall’Ucraina comunicati dal tenore entusiastico, nei quali si annunciava la fondazione dell’Organizzazione Nazionale del Turismo del Paese. Una struttura che, finalmente, avrebbe portato il settore economico turistico nazionale ad uno sviluppo consolidato.

Alla fondazione dell’Ente hanno preso parte la capitale e molte città ucraine di grande bellezza. Tutte città che, una manciata di settimane dopo -in questi giorni- al posto di mostrare al mondo i loro patrimoni turistici, disgraziatamente vedono i loro nomi salire alla ribalta della cronache per essere i luoghi dei tragici resoconti di guerra.

Kiev, la capitale, in questi giorni ci appare nel silenzio del rigidissimo coprifuoco, nelle gelide immagini trasmesse dalle TV di tutto il mondo. La piazza principale è spettrale. Chi ha avuto modo di visitarla ne sentirà, forte, la distorsione con la sua immagine di città di tendenza: affermato centro della moda e della movida, nel 2018 Kiev è -secondo la Lonely Planet- al terzo posto fra le dieci capitali europee dello shopping.

Metropoli (di quasi 3 milioni di abitanti) di grande cultura, numerosissimi i musei e le gallerie espositive, sontuose le cattedrali e di grande interesse le antiche rovine. D’altronde su Kiev si sono scritte importanti pagine di Storia. Fondata nel V secolo, è stata la prima capitale russa.  L’agglomerato più antico è localizzato nella parte nord-orientale della città, dove sono conservati i monumenti più rinomati, veri gioielli del periodo medievale, come la splendida Cattedrale di Santa Sofia, chiesa ortodossa e primo sito ucraino ad essere inserito tra i patrimoni dell’umanità dell’UNESCO.

Altri siti protetti dall’Unesco sono visitabili in tutta l’Ucraina.  Fra questi il  centro storico di Leopoli, importante polo culturale e artistico, a circa 70 km dal confine con la Polonia a cui appartenne in passato, quale città regia della Corona del Regno di Polonia. Tracce della dominazione polacca e austroungarica sono evidenti nell’architettura di Leopoli, che unisce stili dell’Europa centrale e orientale a quelli italiani e tedeschi. Patrimonio UNESCO sono, inoltre,  le Foreste primordiali di faggi dei Carpazi, un’area boschiva di oltre 33 mila km² che si estende tra Ucraina e Slovacchia.

E poi c’è l’immensa steppa. l’Ucraina ha 278 mila chilometri quadrati di terreni di terra nera (černozem), il 30% delle terre nere del pianeta. Questa finissima arena argillosa e marnosa rende il terreno fertilissimo, coltivato in prevalenza a cereali. Si calcola che la produzione agricola ucraina -chiamata non a caso granaio d’Europa– potrebbe sfamare sette volte la sua popolazione.

E’ evidente che questa ignobile guerra sgancia bombe anche sugli scambi commerciali. Le conseguenze sulle esportazioni cerealicole  hanno innescato un’emergenza che riguarda molti Paesi e, in modo pesante, anche l’Italia. Noi, infatti, importiamo il 64% del nostro fabbisogno di grano per la produzione di pane, pasta e biscotti e il 53% del mais di cui ha bisogno il nostro bestiame. Come segnala la Coldiretti, l’Ucraina è il nostro secondo fornitore di mais, con una quota di poco superiore al 20%, oltre a garantire da sola il 5% del nostro l’import di grano.

Mentre scriviamo, il mondo spera in un negoziato che -in queste ore- potrebbe essere contrattato tra Russia e Ucraina, sulla linea di confine tra Ucraina e Bielorussia. Si spera, sebbene prevalga un certo pessimismo sulla possibile risoluzione del conflitto.

Proprio mentre ci stavamo liberando dalle ansie dell’emergenza Covid veniamo sferzati duramente dagli ignobili venti di guerra. Ed è angoscia.

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