Tra i personaggi di fama internazionale che visitarono l’Italia nel ‘700, vi fu anche Thomas Jefferson. Forse non tutti sanno, infatti, che Jefferson, quattordici anni prima di insediarsi alla Casa Bianca quale terzo presidente degli USA, trascorse alcuni anni a Parigi come ambasciatore e che, essendo lui un personaggio piuttosto eclettico (s’interessava tanto di architettura quanto di piante coltivazioni e cibo), volle intraprendere diversi tour non solo in Francia. Nella primavera del 1787 ad esempio, decise di visitare il nord dell’Italia, toccando le città di Genova, Torino e Milano. A raccontarcene i particolari e i risvolti è Maria Cristina Loi, docente al Politecnico di Milano, nel suo ultimo saggio, “L’Italia di Thomas Jefferson”, edito da Aiòn.
Oltre ad essere attratto dalle bellezze artistiche e architettoniche nostrane (che molto lo ispirarono nella sua attività di architetto) egli era interessato, come appassionato orticoltore, anche dal paesaggio naturale, dalle tecniche agricole e vitivinicole nonché dalle abitudini culinarie e di vita locali. Suo intento era quello poter importare nel suo paese d’origine, quanto avrebbe appreso di interessante e di utile all’estero.
Apprezzava talmente la cultura e l’arte italiane, che nella costruzione della sua famosa ed enorme tenuta di Monticello, in Virginia, Jefferson si era già ispirato all’architettura del Palladio (che considerava impareggiabile), ma aveva al contempo disposto ettari di terreno destinati non solo al parco – e quindi alla bellezza fine a se stessa – bensì anche agli orti e alle serre per poter sperimentare le più svariate tecniche di coltivazione.
Questo gli consentiva ovviamente di poter godere anche di rare prelibatezze. Era, per altro, anche un estimatore di vini e in particolare in Piemonte fu colpito dal Nebbiolo, trovandolo “Quasi amabile come il morbido Madeira, secco al palato come il Bordeaux e vivace come lo Champagne“. Ma più che dal vino rimase incuriosito dalla bontà del riso, tanto da voler andare a visitare il vercellese, per riuscire a comprenderne i segreti di coltivazione.
“Cruciale per i rapporti di Jefferson con l’Italia” scrive la professoressa Loi, “fu proprio il breve viaggio nel nord della penisola, compiuto dal 14 aprile al 1° maggio del 1787. In questa manciata di giorni possiamo individuare il nucleo centrale di un sistema che vede la Italian connection di Thomas Jefferson nascere già nei decenni precedenti e poi svilupparsi e crescere in quelli seguenti”.
Il suo interesse per l’Italia crebbe, infatti, negli anni. Della nostra penisola amava la natura – ritrovandovi a tratti caratteristiche simili a quelle della Virginia – ma soprattutto la storia, l’arte, la musica, la letteratura, il buon cibo etc. Ne troviamo ampia testimonianza nei suoi diari e scritti politici, nelle lettere inviate a suoi illustri contemporanei, nei disegni di legge, nelle proposte per la diffusione della cultura, nella scelta dei libri che acquistava per la sua biblioteca personale e per la collezione dell’Università della Virginia, ma anche nei progetti architettonici realizzati o rimasti sulla carta.
Durante questo viaggio nel nord dell’Italia, Jefferson tenne un diario nel quale annotò sia le descrizioni dei luoghi che attraversò, sia le sue osservazioni sulle ottime tecniche di coltivazione utilizzate che avrebbero potuto essere esportate nel suo paese d’origine. Il diario venne poi pubblicato lo stesso anno con il titolo di: “ Viaggio nel Sud della Francia e nel Nord dell’Italia” (l’originale era: “Memorandums taken on a journey from Paris into the southern parts of France and Northern Italy, in the year 1787”).
Nel suo itinerario, infatti, Jefferson si recò da Nizza verso la provincia di Cuneo passando per l’Escarène, Sospel e risalendo poi la valle Roya fino a raggiungere Limone il 15 aprile 1787. Così descrisse il paesaggio:
“Da Limone ho notato un’abbondanza di pietra calcarea ovunque il terreno è libero dalla neve, ossia fino a mezz’ora o tre quarti d’ora di cammino dalla cima. La neve scende molto più in basso nel lato orientale rispetto a quello occidentale. Dovunque c’è terra, c’è grano, addirittura sino all’inizio delle nevi e, suppongo, anche al di sotto. Nelle parti aride ci sono pini a doppio ago, lavanda e timo”.
Ma questa è solo una delle innumerevoli descrizioni che si possono trovare nel testo, sia per quanto riguarda l’arte e l’architettura, sia concernenti il paesaggio e le questioni agricole, nonché riflessioni sugli usi e costumi degli abitanti nelle varie località. Ben lungi dal soffermarsi alla superficie e ai luoghi comuni, Jefferson riportò dunque innumerevoli impressioni, considerazioni e descrizioni meticolose senza risparmiare talvolta, anche critiche piuttosto schiette.