RAFFAELLA INTERVISTA FRANCESCA

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“Io lavoro perché i miei allievi crescano diventando persone realizzate e serene. Persone migliori. Attraverso la musica.  Perché la musica è gioia, è emozione allo stato puro, che possiamo trasmettere agli altri”. Ecco Francesca Raimondi, 35 anni, una giovane psicologa insegnante di musica. Francesca parla del suo lavoro, dei suoi allievi, della sua orchestra, con passione e competenza e con una chiarezza che le permette di vedere la persona, prima del bambino, le doti del suo allievo,  prima delle sue disabilità, la sua forza, prima del suo limite. Sì, perché Francesca  insegna musica a ragazzi e bambini, anche piccolissimi, anche con disabilità. Parla di competenze, valore degli errori, abilità, passione e gioia. Parla di vita e di musica.

Ho iniziato a studiare musica a 9 anni. Relativamente tardi, ora ho allievi di 2 o 3 anni. La passione per la musica mi è stata trasmessa dal mio papà, che mi faceva ascoltare musica classica fin da piccolissima. A 4 anni amavo follemente lo Zecchino d’Oro. Collezionavo i dischi, registravo le canzoni, le imparavo a memoria. Avevo la tastierina Bontempi: insomma la musica è stata protagonista della mia vita, da sempre. Poi un Natale mi hanno regalato un violino e da lì tutto è iniziato. Anche se la mia storia musicale è stata complessa e travagliata. Non ero certo una bambina facile, allineata. Sono sempre stata indipendente e refrattaria alle regole, creativa e poco incline a sottomettermi. Anche per questo, forse, ho cambiato tanti insegnanti di musica, facevo fatica a conformarmi, non ero disposta a seguire le regole imposte. A scuola, come al Conservatorio. Poi ho trovato l’insegnante giusta, che mi ha fatto fiorire, ha tirato fuori la passione per la musica che era in me da sempre.

Eppure il Conservatorio l’hai fatto. 

Il conservatorio l’ho iniziato a 18 anni, ed ero al quarto corso di violino, abbastanza indietro, e a 25 anni ho finalmente terminato. Dopo il diploma ho capito che non avevo il livello richiesto per eccellere, non avrei potuto essere una solista, come era nei miei sogni. Per fortuna, assieme al conservatorio, avevo anche studiato psicologia. Un’altra grande passione. L’incontro con un libro di  Torey Hayden, psicologa dell’infanzia, che è stata insegnante nelle scuole speciali, in America, mi  ha aperto un mondo. Le ho scritto, mi ha risposto e da lì ho deciso di iscrivermi a psicologia. Volevo lavorare con la disabilità, mi affascinava. Dal confronto con Torey e poi con il lavoro sul campo ho capito che immenso valore ha per un bambino un bravo insegnante. Il primo anno di università mi sono proposta come volontaria in una scuola speciale e ho toccato con mano la poca preparazione che spesso ha chi lavora con i bimbi disabili, spesso gli insegnanti si improvvisano. Ho fatto l’educatrice in diverse associazioni, ma avevo sempre la sensazione che nel lavoro mancasse qualche cosa di mio.

Il Metodo Suzuki

Parallelamente avevo iniziato a seguire, come uditrice, il Metodo Suzuki, per il quale oggi sono in formazione. Suzuki è stato un violinista giapponese, un educatore illuminato e moderno, ideatore dell’omonimo Metodo di insegnamento. È stato uno dei primi didatti a dedicarsi all’istruzione musicale per bambini di 3- 4 anni. Definì il suo Metodo della Madre Lingua, perché la musica viene appresa attraverso l’ascolto, la ripetizione e la memorizzazione, come fosse una lingua madre. Affascinata dal Metodo ho iniziato a studiare prima il Children’s Music Laboratory con Elena Enrico e poi, poco per volta, ho iniziato a insegnare ai bambini. Anche piccolissimi. Ho un mio stile di insegnamento. Credo nel valore dell’insegnamento, nella musica e non solo. Proprio io che ho faticato tanto con alcuni insegnanti so quanto sia importante capire i bambini. Sono persone, uniche, normodotate o con qualche disabilità, sta all’insegnante tirare fuori il loro potenziale.

Perché la musica non è una terapia?

Tutti i bambini, davvero tutti, hanno capacità immense. Tutti i bambini sono attratti dalla musica. Tutti possono apprenderla. Purtroppo in Italia c’è un approccio alla musica, per i bimbi con disabilità, ludico, che passa dalla musicoterapia. Chi si occupa di musicoterapia molto spesso pensa che i bimbi disabili non possano suonare come gli altri, non possano imparare e quindi li avvicinano alla musica come se la musica fosse un gioco. Fanno provare loro tanti strumenti, parlano di improvvisazione. Ma l’improvvisazione è una disciplina. Non è il caso e il caos. Il bambino autistico che schiaccia a caso uno strumento è un bambino che gioca. Non è un bambino che suona. E poi diciamolo, la musica non è una terapia. Certo la musica fa star bene, incentiva il benessere. Ma non si suona per quello. Tutti i bambini dovrebbero poter suonare, sia che abbiano capacità nella norma sia che abbiano qualche disabilità, perché la musica ti cambia, ti trasforma, ti arricchisce, ti dà gioia.

Musica e disabilità

Ho avuto allievi con disabilità gravissime, per citarne uno, un ragazzo con una leucodistrofia, una patologia degenerativa. Da piccolo aveva iniziato a perdere tutte le funzioni, alla fine non parlava più, eppure ha imparato le basi della musica, suonava il violino, ha partecipato ai concerti. Ha dato il massimo e ha raggiunto traguardi importanti, per lui. Io ho aspettative altissime sui miei allievi, e loro lo sentono; non si spaventano e non si tirano mai indietro.  Insegno il valore dell’errore. Sbagliare è normale, è giusto, è sano. H un grande rispetto per ciascuno di loro, osservo i loro progressi, il loro impegno e prendo sul serio il loro lavoro. E loro lo sanno.

Certo, come dicevo prima, bisogna saper insegnare, ci vogliono solide basi e grande passione. Però, e di questo sono fermamente convinta, in questo lavoro l’amore non basta. Ci vuole passione, io amo i miei allievi, perché amo il mio lavoro, ma non do’ loro amore, io offro loro competenze.  Smettiamola di trattare i bambini e i ragazzi disabili con pietismo. Hanno bisogno di essere amati, innanzitutto, certo, come tutti noi; sono amati dai genitori, dalla famiglia. Io sono la loro insegnante di musica e passo loro nozioni, tecnica, competenze e tanta passione. Ma lo faccio con le mie capacità di insegnante, non con l’amore.

La tua più grande soddisfazione…

Sicuramente la mia orchestra, Musica e Gioia, in cui suonano bimbi dai 3 ai 14 anni: bambini e ragazzini diversissimi fra loro, sia per età che per caratteristiche e competenze. Ci sono bimbi disabili, iperattivi, autistici, bimbi con sindromi genetiche, ho avuto una ragazza sorda. Suonano tutti assieme, facciamo prove tre volte al mese, il sabato. Ho regole ferree e semplici, che scrivo sui cartelloni nel mio studio: si ascolta chi parla, si ascolta chi suona, si sta in silenzio. Tutti le rispettano. I miei allievi hanno un grado di autonomia altissimo e collaborano: i grandi aiutano i piccoli. Anche bimbi che la scuola rifiuta, perché vengono vissuti come aggressivi, iperattivi. I bambini con difficoltà vengono accolti esattamente come gli altri. Non punto sull’integrazione ma sull’inclusione. Loro sono amici. Si divertono, imparano, partecipano ai concerti e ai concorsi. Sono un gruppo, sono un’orchestra: il risultato del loro lavoro è maggiore della somma delle parti. L’orchestra è la gioia di stare assieme, di suonare con gli altri, di condividere risate e fatiche, lacrime e grandi soddisfazioni.

La musica è educazione?

Per i bambini la musica è uno strumento di crescita eccezionale, grazie alla musica diventano persone migliori. Grazie alla musica lavoro tanto sulle emozioni, sul comportamento, faccio colloqui con i genitori, per lavorare a livello educativo, per aiutare questi bimbi a diventare persone realizzate e serene. Questo è il mio obiettivo. Aiutarli a crescere, non farne dei concertisti. Se quello verrà, ben venga, ma non è il mio obiettivo principale. Mi piacerebbe che tutti i bimbi potessero avere accesso alla pratica strumentale e che ci fosse più fiducia nelle loro capacità. Che si riuscisse a guardare oltre e a mettere in luce l’unicità di tutte queste piccole e magnifiche persone.

 

 

 

 

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