DIGITALMENTE SPIATI

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A sfruttare per primi il profilo del cliente per ottenere il massimo possibile in termini di vendita conoscendone gusti e abitudini sono stati i colossi della GD, la grande distribuzione declinata nelle sue varie modalità commerciali: passavi davanti a uno scaffale e un grande fratello registrava quante volte, quali prodotti attiravano maggiormente la tua attenzione, quali comperavi, con quale frequenza…

Col tempo, la tecnica del customer profiling ossia la conoscenza delle caratteristiche del cliente, fondamentali per strutturare l’offerta in relazione alla domanda, cioè per fare business, si è allargata ad altri settori, nella poca attenzione dei legislatori e in quella nulla dei soggetti interessati. Il progresso della tecnica e degli strumenti di rilevamento delle nostre abitudini, gusti, necessità e via elencando si è rapidamente affermato al punto che, per fare solo qualche esempio, se parliamo di bambola che rivela ai pubblicitari informazioni sui nostri bambini (si chiama Myfriend Cayla prodotta da Genesist Toys – in Germania ne è stata vietata la vendita); di materassi che studiano il nostro sonno ricavandone “dati” sulla nostra salute rendendoli disponibili a chi ne otterrà un profitto; di automobili che registrano i nostri itinerari con l’aiuto del navigatore satellitare e li vendono al miglior offerente (potete immaginare l’offerta di destinazioni turistiche, punti di assistenza, servizi logistici di ogni tipo che beneficiano di questa immateriale immensa e continua “traccia”?); del nostro stato di salute captato dai braccialetti fitness; per non dire della domotica, non stiamo immaginando il sequel del noto romanzo di Orwell. Parliamo di realtà quotidiana. Siamo orgogliosi di definirci internauti, ma i nostri dati personali che le varie legislazioni sulla privacy dovrebbero tutelare sono un patrimonio che fa gola a molti, e pochissimo noto ai più.

Possiamo difenderci da questa guerra alla riservatezza condotta a nostra insaputa dai colossi del Web, da questo “capitalismo della sorveglianza” come l’ha definito Shoshana Zuboff nel suo il libro di prossima pubblicazione in Italia? In Europa, per esempio, dal 2018 vige il GDPR – General data protection regulation, ovvero il Regolamento UE n. 679/2016 sulla protezione dei dati personali, ma non basta. Il furto dei nostri dati comportamentali sarà contrastabile – spiega Zuboff – se sapremo riconoscere la differenza tra capitalismo tradizionale (produzione e vendita di merci e servizi) e “capitalismo della sorveglianza” in cui sono le nostre esperienze private a essere mercificate.

Spiega Zuboff: il capitalismo ha sempre avuto bisogno dei consumatori e dei lavoratori. Ma al capitalismo della sorveglianza gli esseri umani non servono, né come consumatori né come lavoratori. E nemmeno come prodotti. Si pensi alle audience televisive: qui il “prodotto” che le emittenti televisive vendono ai pubblicitari è lo spettatore. Il targeting è basato proprio sulla mole di informazioni di contesto disponibili in tempo reale che consentono un’alta profilazione del vasto pubblico. Il marketing però è solo la punta dell’iceberg. Ci sono informazioni che proprio non dovrebbero diventare “dati”: ad esempio il riconoscimento facciale del volto invece del passaporto – in fase sperimentale in Australia – coi dati biometrici dei viaggiatori conservati nel cloud. La “sorveglianza”: questo è il problema.

Immagine:Foto di Robinraj Premchand da Pixabay 

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