SCIAMANNATO

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Termine colloquiale il cui uso si sta rarefacendo. È (era) un modo elegante per rimproverare un atteggiamento «disordinato, sciatto negli abiti, nella persona, nel portamento. Come sostantivo: soprattutto per indicare la trascuratezza, il disordine abituale» (Treccani).

L’etimo di questa parola sarebbe, secondo la stessa fonte, di origine incerta: voce di origine giudaico-romanesca? Ipotesi non inverosimile; potrebbe infatti derivare da sciamanno, ossia quel cencio o velo che – a seguito delle bolle papali di Pio IV – a partire dal sedicesimo secolo gli ebrei dovettero portare sul cappello o sul capo.

Un’altra spiegazione possibile potrebbe essere questa: che derivi da sciamma, parola con cui nelle zone dell’Etiopia dove si parla aramaico, ci si riferisce a una tela bianca di cotone fabbricata localmente, molto soffice. Poi, questo termine è passato a indicare la toga indossata indifferentemente da uomini e donne della regione. Da qui sarebbe passato, adattandosi, all’italiano.

Già, ma attraverso quale percorso filologico? Probabilmente, non furono estranee a questa “importazione” le ambizioni coloniali italiane di fine Ottocento/primi Novecento nel Corno d’Africa (d’Affrica, come si scriveva allora), iniziata il 15 novembre 1869 da parte della società Rubattino di Genova con il “Contratto di acquisto della Baia di Assab” in Eritrea. Se così fosse, non sarebbe estranea una vena di mal celato razzismo, essendo il capo d’abbigliamento tipico degli indigeni (“incivili”), che ben differiva all’epoca dall’abbigliamento dei “portatori di civiltà”, gli italiani colonizzatori. Dare di sciamannato a qualcuno, dunque, avrebbe potuto avere anche un significato sprezzante. Oggi, fortunatamente, superato.

 

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