DIRLO CON LE STORIE

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Complimenti allo studio newyorchese Small; ha saputo regalarci due spot pubblicitari davvero encomiabili sotto il profilo della comunicazione commerciale, la storia ‘la pesca’ e la storia ‘la noce’, realizzati in sequenza per la campagna natalizia di vendita di una azienda, Esselunga, che, in un panorama di annunci pubblicitari nella stragrande maggioranza esaltanti il loro ossequio al politicamente corretto green, ha scelto di ricordare ai telespettatori il suo slogan: “Non c’è una spesa che non sia importante”. Dunque un linguaggio di pura vendita, fuori dal mainstream ambientalista corrente.

Sono due storie/film, quelle citate. La prima, quella della bambina con i genitori separati, che ricorre al frutto per tentare il loro riavvicinamento, ha suscitato sui media e i social polemiche, divisioni e polarizzazioni, persino tra i politici (che cosa non si fa per “apparire”). La seconda, quella dei due bimbi amici che sono costretti a lasciarsi, con lei che regala a lui una noce, un guscio che custodisce una promessa: forse, l’amicizia invece di svanire germoglierà. Come accade nel finale dello spot. Questa seconda storia, ‘inclusiva’ a giudizio della maggioranza di chi l’ha vista, conferma la novità della serie: un rovesciamento del flusso comunicazionale tradizionale; adesso sono i media a far da volano agli spot/storie. Magie del marketing. Possibili proprio perché si tratta di storie. Una novità nel panorama vasto della comunicazione pubblicitaria? Direi proprio di no. Una conferma, piuttosto. Il meccanismo, infatti, è lo stesso che in tv portò al successo il nostro “Carosello”. Erano gli anni 1957-1977. Lo storytelling commerciale in televisione nacque allora.

Adesso invece si “narra”, i giovani sopra tutto, ricorrendo alle app degli smartphone. Così è tutto un proliferare di simboli e di emoticon. Che se hanno il pregio della sintesi – ancorché estrema –  hanno il difetto di involvere progressivamente il linguaggio e, di conseguenza, pensiero e capacità di riflessione. È lo stesso meccanismo della calcolatrice: la facilitazione consentita dalla macchina anemizza la capacità di calcolare a mente. Sembra che grazie alla tecnologia si scriva di più, ma “scrivere” in questo caso è parola grossa: «Se ne accorgono i professori (persino quelli universitari) – commenta Valeria Braghieri sulle pagine del Giornale – ai quali, sui banchi e negli atenei, vengono consegnati greggi di semianalfabeti creati da un’ubriacatura tecnologica (…) Peccato, perché tra i geroglifici e gli emoticon molto era stato fatto».

Il primo e più grande narratore di storie, cantore della caduta di Troia, non si dà pace.

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