CHI. COSA. COME. PERCHÉ.

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Prendiamo a prestito quattro delle cinque lettere della testata di questo giornale per introdurre un argomento che sembra segnare considerevolmente il nostro tempo: l’analfabetismo funzionale. Il 47% degli italiani, dice l‘OCSE, si informa (o non si informa), vota (o non vota), lavora (o non lavora), seguendo soltanto una capacità di analisi elementare: una capacità di analisi, quindi, che non solo sfugge la complessità, ma che anche davanti ad un evento complesso (la crisi economica, le guerre, la politica nazionale o internazionale, lo spread) è capace di trarre solo una comprensione basilare. In altre parole soffre di analfabetismo funzionale.

Analfabetismo funzionale

Spiega  di che trattasi il linguista Tullio De Mauro, ministro della pubblica istruzione dal 25 aprile 2000 all’11 giugno 2001: «Cinque italiani su cento tra i 14 e i 65 anni non sanno distinguere una lettera da un’altra, una cifra dall’altra. Trentotto lo sanno fare, ma riescono solo a leggere con difficoltà una scritta e a decifrare qualche cifra. Trentatrè superano questa condizione ma qui si fermano: un testo scritto che riguardi fatti collettivi, di rilievo anche nella vita quotidiana, è oltre la portata delle loro capacità di lettura e scrittura, un grafico con qualche percentuale è un’icona incomprensibile». Questo è l’analfabetismo funzionale, definito già nel 1952 dall’Unesco come capacità di superare l’alfabetizzazione strumentale: il grado di sviluppo delle capacità individuali di lettura e scrittura, con riferimento al gruppo culturale di appartenenza.

Analfabeti finanziari

Non parliamo poi dell’analfabetismo finanziario: quanti italiani adulti si destreggiano con disinvoltura tra Bot, Cct, mutui subprime, TAEG  e TAN e via elencando? Quanti conoscono la differenza tra inflazione e deflazione, quanti fra risparmio e investimento? Del resto, i programmi della nostra scuola dell’obbligo non contemplano questa materia “di base”. Chi sia interessato ad approfondire questo aspetto dell’analfabetismo, può leggere il recente libro di Stefano Righi, giornalista del Corriere, Il grande imbroglio. Per l’autore, anche i cittadini rivelano enormi lacune finanziarie di base. E perfino il governo. Perché, se è vero che la Costituzione tutela il risparmio in tutte le sue forme, è altrettanto vero che le decisioni su come gestirlo camminano sulle gambe degli uomini.

Neppure i giovani e i giovanissimi, quelli così detti digital born, si salvano da questa forma di analfabetismo: quasi la metà dei quindicenni italiani – scrive Roberta Carlini nel suo Come siamo cambiati. Gli italiani e la crisi (Laterza) ha tra le mani una carta prepagata o un piccolo conto corrente; ma molti di loro non sono in grado di compiere le operazioni più elementari riguardo ai soldi. Lo dice l’indagine Ocse-Pisa sull’alfabetizzazione finanziaria che nel 2012 ha coperto 18 paesi e un campione di 29.000 quindicenni. Risultato: nella media generale, l’Ocse vede con preoccupazione il fatto che un ragazzo su sette stia a livelli molto bassi dell’abc della finanza – cioè, non sia in grado di prendere semplici decisioni sulla spesa quotidiana – e solo uno su dieci si pone invece al livello più alto, riuscendo a risolvere problemi finanziari più complessi. Ma se la media è preoccupante, i dati italiani sono da allarme rosso.

Politicamente corretti

Quando la maggioranza di noi si lamenta della classe politica, probabilmente ha qualche argomentazione solida per il suo “mugugno”, ma quasi sempre dimentica che al governo e in Parlamento siedono italiani come noi, non extraterrestri. E come tali, persone espressione più o meno coerente delle caratteristiche della media del nostro popolo, nei pregi e nei difetti. Anche se, per tornare all’analfabetismo funzionale, ammettiamolo, è difficile non condividere almeno in parte l’amara considerazione di Piero Ostellino: chi, ricoprendo certi incarichi, dovrebbe saper giudicare come stanno le cose non ne ha non solo l’intenzione, ma neppure gli strumenti culturali necessari per orientarsi nel mondo in cui vive e, non sapendo come cavarsela, ricorre al politicamente corretto. La soluzione? Nessuno dispone di una sfera di cristallo di provata affidabilità; secondo il citato De Mauro: «Quella principale è una tendenza d’ordine biologico e psicologico: data la natura selettiva della nostra memoria, si constata che in età adulta tendiamo a regredire di cinque anni rispetto ai livelli massimi raggiunti durante gli studi a meno che, ed è fondamentale, non continuiamo a esercitare quella competenza. Per esempio, nell’ultimo anno di liceo ci siamo inoltrati in argomenti non elementari di matematica ma, se non diventiamo bancari, geometri o ingegneri, la nostra matematica adulta si rattrappisce e, se va bene, torna ai livelli della terza media. Così avviene per ogni altro campo. Se non leggiamo libri o romanzi, di tutta la storia studiata restano brandelli sospesi nel vuoto: Pirro re dell’Epiro, Stilicone, trattato di Campoformio». Dunque leggere, leggere, leggere. Fare ginnastica mentale. E contrastare per quanto possibile la tendenza generale indotta dalla tecnologia digitale, 140 caratteri e via andare.

Immagine: medievista.it

 

 

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