TREBISONDA

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Una locuzione verbale che si sente sempre meno. Adesso si dice essere “fuori di testa”, “fuori come un balcone”, “non starci con la zucca” e altre amenità popolari. Una volta invece era frequente sentire accusare qualcuno di “aver perso la Trebisónda”. Da dove viene questo detto?

Umberto Eco sulle pagine dell’Espresso nel 2007 scriveva che il modo di dire ha spiegazioni diverse; una è che «siccome Trebisonda [nome italiano della città turca Trebzon, nda] era il porto più importante sul Mar Nero, per i mercanti perdere la rotta di Trebisonda equivaleva a perdere il denaro investito nel viaggio».

L’altra spiegazione, sempre legata alla navigazione commerciale dell’epoca, è che Trebisonda era un punto di riferimento visivo, una sorta di faro per tutti i naviganti che veleggiavano sulla rotta tra Europa e Medio Oriente, «perdendo il quale si perdeva l’orientamento, o la bussola, o la tramontana». Rotta percorsa dapprima dagli elleni, dai romani e poi dai genovesi per i loro commerci con i colchidi; dirottare avrebbe significato perdere la Colchide, la regione caucasica della Georgia occidentale, porta d’ingresso alla Russia e ai suoi traffici.

Sempre a proposito di Trebisonda scrive invece C. E. Gadda: «aveva perso del tutto la trebisonda: pareva impazzire», con questo riconducendoci al significato traslato della nostra locuzione: essere afflitti da uno stato di disorientamento, essere frastornati. O anche, passando dalla navigazione all’ippica, perdere le staffe, cioè l’autocontrollo.

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