TALK SHOW, LA ‘CURVA’ DELLA TV

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«Sì la vita è tutta un quiz», cantavano nel 1988 Renzo Arbore e Nino Frassica, conduttori del popolare programma televisivo “Indietro tutta!” andato in onda sulla Rai, in piena… “Italia da bere”. Allo stesso tempo, su Canale 5, rete Mediaset, andava in onda il Maurizio Costanzo Show. Costanzo, l’inventore del talk show italiano, la tv prima che il trash dilagasse.

Dicono gli specialisti: talk-show, programma radiofonico o televisivo in cui si alternano ad altre forme di spettacolo interviste e dibattiti tra personalità importanti dello sport, dell’arte, della cultura, della politica (sarebbe più corretto: dei partiti) … Come si caratterizzano queste interviste? Più show o più talk? Domanda mica retorica, perché queste ‘discussioni’ (discussioni?) «si

inseriscono in un più ampio dibattito: se la loro priorità sia quella dell’informazione e di un servizio pubblico o se siano piuttosto da considerarsi come spettacolo e intrattenimento al pari di altri programmi artificiosi. È una questione rilevante, perché la televisione è vista ogni giorno da milioni di persone, e il modo in cui queste ne percepiscono i contenuti influenza le loro opinioni e la loro conoscenza dell’attualità. (…) in Italia si è imposto un formato che nella maggior parte dei casi prevede un confronto tra ospiti con posizioni politiche o ideologiche anche molto diverse, e che a volte porta a sovrapposizioni caotiche di voci e a liti più o meno accese» (ilpost.it – 23 aprile 2022).

Vediamo il panorama: attualmente, nel loro complesso «le sette reti generaliste (le tre reti Rai, le tre Mediaset e La7) offrono ogni anno ben 3.000 ore di informazione e 3.500 ore di talk show che vengono qualificati come “pluralismo culturale” (…) puntando [prevalentemente] allo share, nella convinzione che il trash e la gazzarra paghino» (Parsi, 2023, pag. 103). Sembrerebbe, questo passaggio, dar ragione a un vecchio proverbio milanese: «Chi vosa pussèe, la cavagna l’è sua» (chi grida di più si prende la fiscella*).

Giriamo pagina. Letteralmente. Sulla lettura di testi cartacei, di ebook, nell’ascolto di audiolibri in Europa siamo penultimi. In maggioranza, gli italiani leggono narrativa come romanzi, fumetti, libri per bambini (50,7%), mentre saggistica e manualistica non universitaria copre il restante 49,3% delle vendite. Dal report Istat Produzione e Lettura di Libri in Italia (dicembre 2022) emergono alcuni dati di particolare interesse per i decisori politici e per gli educatori: «Il livello di istruzione si conferma elemento determinante: legge libri il 71,9 dei laureati (75,0% nel 2015), 46,1% dei diplomati e solo il 25,9% di chi possiede al più la licenza elementare». Inoltre, secondo lo studio di Pepe Research e AIE Associazione italiana editori, negli anni passati la percentuale delle persone impegnate a leggere si è abbassata: se nel 2019 leggeva il 65% degli italiani, la percentuale è scesa al 56% nel 2021, cioè a dire che, oggi, circa 30 milioni di italiani non leggono.

Non stupisco che, con questi elementi il messaggio televisivo sia ormai un’affermazione entrata nel linguaggio comune. Sennò non si spiegherebbe il successo dei così detti influencer commerciali e persino di quelli politici, né la confusione imperante tra senso comune e buon senso. Come disse Montanelli: «Fateli parlare trenta minuti, anziché trenta secondi, e ne sentirete delle belle».

 

* Cestino di vimini o di giunchi, di forma troncoconica, usato dai pastori per far scolare la ricotta appena fatta.

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