4 PALMENTI

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Fino a qualche tempo fa non era raro sentir dire: mangiare a quattro palmenti. Oggi questa frase è pressoché dimenticata. Probabilmente perché mangiare in quel modo, a quattro palmenti appunto, non è più chic. Oggi vanno di moda i giapponesi sushi e sashimi (sai la novità, furono  presentati già all’Exposition Universelle del 1867, la seconda tenutasi a Parigi, decisa da Napoleone III per promuovere una migliore conoscenza tra le nazioni grazie alle mostre dei padiglioni), il finger food del “prendiamo una cosa insieme”, l’apericena dell’euforia alcolica serale. Ma quando avevamo fame – quando i mandarini, per capirci, si regalavano a Natale –  e potendo mangiavamo a quattro palmenti, sapevamo che cosa volesse dire quella metafora? Pochi ne avevano contezza. Il palmento, sostantivo maschile dall’etimo incerto, forse dal latino pavimentum ‘pavimento, selciato’, è “vasca larga e poco profonda con pareti di mattoni o di calcestruzzo, o anche scavata nella roccia impermeabile, adibita nell’Italia meridionale alla pigiatura e alla fermentazione dei mosti. Oppure: macina da mulino ad acqua mediante la quale si riducono in frammenti più o meno fini i chicchi di grano”. Macinare con due mole (a due palmenti) voleva dire macinare in modo più rapido e più efficace.

Vista l’affinità figurata fra il macinare e il masticare, macinare a due, a tre, o addirittura “a quattro palmenti” (il nostro detto), divenne sinonimo di mangiare con crescente foga. Versione “alta” della popolaresca abbuffata, il pasto abbondante consumato voracemente.

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